PER UNA INTRODUZIONE ALLA STORIOGRAFIA SULLA LINGUA D'ITALIA DELL'ORDINE DI SAN GIOVANNI DI GERUSALEMME IN ETA' MODERNA

Angelantonio Spagnoletti
Universitá di Bari

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© Seminario Internacional para el estudio
de las Órdenes Militares. 2002

Forse nessuna bibliografia può risultare così incompleta come quella che raccoglie (o dovrebbe raccogliere) i titoli delle centinaia e centinaia di libri, saggi, opuscoli e articoli dedicati alla storia della Lingua d'Italia dell'Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme e questo non tanto perché le complesse vicende dell'Ordine coprirono gran parte dell'Europa cristiana e si dipanarono dalla Terra Santa al Mediterraneo occidentale, non tanto perché quella istituzione conobbe una lunghissima storia che affondava le proprie radici nel clima delle crociate per toccare, almeno finché essa si configurò come soggetto politico indipendente, gli anni della rivoluzione francese e di Napoleone, non tanto - infine - perché la Sacra Religione possedeva molte decine di commende e di baliaggi nelle più varie parti della penisola, il che, tra l'altro, rende difficile il dar conto di una produzione spesso di ambito e di circolazione esclusivamente locale, quanto per il fatto che l'Ordine dei giovanniti si trovò a giocare nei secoli dell'età moderna un ruolo di fondamentale importanza nella definizione e nella formalizzazione di quelli che sono gli elementi tipici e costitutivi della "civiltà aristocratica" dell'Europa cattolica.

Ne consegue così che gran parte delle notizie relative all'Ordine, alla sua struttura, alla sua organizzazione interna, al suo peso economico, alla sua valenza sociale trovino posto, in notevole misura, in opere che ad esso non sono esplicitamente dedicate. Viceversa, una messe di informazioni sui ceti aristocratici, sulla gestione del potere locale, sulle forme di ascesa sociale negli antichi stati italiani del XVI - XVIII secolo riceve accoglienza nelle opere che storici, trattatisti, cronisti, giuristi hanno dedicato ex professo alla Religione gerosolimitana.

Alcuni esempi renderanno chiaro quanto appena affermato. Ne Il Dottor volgare (Roma 1673), ne Il Cavaliere e la Dama (Roma 1675) e nel monumentale Theatrum veritatis et justitiae (Lugduni 1697) del cardinale Giambattista de Luca, uno dei più grandi giuristi italiani del Seicento, numerosi capitoli o "Discorsi" hanno ad oggetto questioni che concernono la vita interna dell'Ordine e i rapporti di quest'ultimo con le istituzioni "laiche" presenti sul territorio: problemi che investono conflitti di tipo giurisdizionale vengono affrontati in quella sede; vicende legate alla concreta gestione dei beni gerosolimitani o all'analisi delle norme che regolavano le prove e gli ingressi dei cavalieri sono riferite con dovizia di particolari nei "Discorsi". In essi vengono, pertanto, riportate sentenze, decisioni della Sacra Rota Romana, dei supremi tribunali napoletani o di quelli degli altri stati italiani relative all'Ordine, alle sue giurisdizioni, ai suoi privilegi e ai suoi cavalieri a testimonianza della rilevanza di temi, oggetti, questioni che investivano ampi settori della società del tempo e che erano oggetto di accesi dibattiti, oltre che tra giuristi, tra i cultori delle scienze cavalleresche.

Di converso, il libro di Giandonato Rogadeo (Del ricevimento de'cavalieri e degli altri fratelli dell'insigne Ordine Gerosolimitano della Veneranda Lingua d'Italia, Napoli 1785) costituisce una fonte preziosa per lo studio delle nobiltà italiane in età moderna, in particolare quelle di area meridionale, proprio per l'ampio spazio che esso dedica alla loro classificazione, ai loro rapporti con i poteri dello stato, alla loro funzione nel governo delle città, alle forme di trasmissione dei titoli oltre che, naturalmente, ai requisiti necessari per entrare, come cavalieri "di giustizia" nei ranghi dell'Ordine.

Anche fonti meno centralizzate come gli "statuti" e i "capitoli" per il governo dei centri urbani riportano con dovizia di particolari le norme gerosolimitane relative ai criteri definitori della nobiltà in relazione, soprattutto, alle qualità che si richiedevano in coloro che aspiravano a partecipare alla gestione del potere locale. Così, gli statuti del XVI secolo sul reggimento della città di Bari come quelli di Jesi, di Perugia o di altre città dello Stato pontificio affidavano il potere cittadino a patrizi che fossero in possesso dei medesimi requisiti richiesti per coloro che intendevano sostenere le prove d'ingresso nell'Ordine di Malta (nobiltà immemorabile, non esercizio di arti vili e meccaniche, parentadi contratti con famiglie nobili, ecc.) e, per tornare a una documentazione che fa riferimento alla legislazione statale, tutti i provvedimenti che regolavano la delicata materia della definizione della nobiltà emanate nel corso del XVIII secolo menzionavano la Religione gerosolimitana quale istituzione dotata di norme che concorrevano a definire i tratti e le articolazioni di quel ceto.

Punto di forza della civiltà aristocratica, ispiratore di tanta parte della cultura nobiliare, dotato di un prestigio e di una forza di attrazione che portava i rampolli delle famiglie nobili italiane a militare sotto le sue bandiere, l'Ordine, fra i "poteri" non statali, occupava, nella trattatistica politica e giuridica dell'età moderna, uno spazio inferiore forse solo a quello riservato alla Chiesa e alle sue strutture di governo.

Concesso così un doveroso, anche se non ampio riconoscimento a una letteratura non esplicitamente dedicata all'Ordine di Malta, ma nella quale notevole posto trovano le sue vicende, le sue articolazioni territoriali e l'attività di governo delle sue "magistrature" centrali, è tempo ora di passare a considerare i titoli di ambito più strettamente gerosolimitano, ovvero quelli che si riferiscono ad una produzione maturata all'interno dell'Ordine o che ha come soggetto principale quell'istituzione e i suoi cavalieri.

Necessario si rende, a questo punto, delineare i criteri in base ai quali selezionare e organizzare un materiale torrenziale e pletorico nei titoli, che annovera trattati monumentali e opuscoli che si esauriscono in brevi pagine, lavori compilativi e ripetitivi ed altri di più ampio respiro, opere che rivestono una grande importanza per lo storico e scritti di rilievo assolutamente marginale e francamente agiografici. Si potrebbe organizzare la trattazione per oggetto (storia, diritto, araldica, numismatica, agiografia, imprese militari, economia, ecc.), ma non credo che questa partizione possa costituire un criterio valido a dare conto della complessità e degli sviluppi di una storiografia che si presenta sotto aspetti multiformi e che vanno, in ogni caso, tutti tenuti presenti, anche perché sono il prodotto, o uno dei prodotti, della cultura, delle aspirazioni, dell'universo mentale degli uomini che sull'Ordine si affannavano a scrivere.

Più proficuo alle nostre finalità può forse risultare il ricorso alla sistemazione cronologica, anche perché questa - nella sua apparente neutralità - si rivela la più adatta a farci cogliere l'immagine che l'Ordine aveva di sé e che la società di antico regime aveva di esso, oltre che le ragioni che ne determinavano la rilevanza nella politica estera e interna degli stati dell'Europa cattolica, specie - per quel che ci riguarda - quelli appartenenti all'area italiana.

Non si può non partire, così facendo, dalla grande opera di Giacomo Bosio (Dell'Istoria della Sacra Religione et Ill.ma Militia di San Giovanni Gierosolimitana, voll. 3, Roma 1594-1602) che tratta la storia dell'Ordine dalla sua fondazione al 1571 e che giunse a contare, oltre a una parziale ristampa curata dall'autore, numerosissime edizioni. L'opera si colloca nel contesto del periodo eroico della storia di quella istituzione, negli anni in cui più drammatico risultò lo scontro con l'impero ottomano e che videro i cavalieri gerosolimitani assumere un ruolo di primo piano nella difesa della Cristianità. Le ragioni del radicamento dei cavalieri nel centro del Mediterraneo con il loro stanziamento a Malta nel 1530, ceduta loro da Carlo V, i momenti drammatici dell'assedio da essi sostenuto nell'isola nel 1565 costituiscono l'asse ideale attorno a cui ruota tutta la trattazione del Bosio che riversa all'indietro nel tempo, nel periodo glorioso delle crociate, gli echi di un immane conflitto che allora era in pieno svolgimento e che si presentava dagli esiti incerti. Ma un altro elemento trova posto nell'opera dello scrittore milanese ed è l'insistita attenzione sulle eccezionali qualità che si richiedevano in coloro che ponevano la propria spada e la propria fede al servizio di quella istituzione; superfluo aggiungere che è su questa falsariga che si costruirà gran parte della successiva produzione gerosolimitana la quale si svilupperà con l'obiettivo - spesso esplicitamente dichiarato - di stimolare i giovani esponenti delle nobiltà italiane ed europee ad accorrere in massa sotto i vessilli della Religione facendo loro balenare il miraggio di una vita spesa gloriosamente al servizio di Dio e della fede nella quale venivano esaltate pure la loro naturale vocazione all'uso delle armi e le qualità tipiche dei ceti aristocratici.

Gli aspetti legati alla costruzione di più solidi apparati statali e all' assolutizzazione del potere monarchico che trovavano non flebile rispondenza nella strutturazione degli organismi di governo della Religione a cominciare dal Gran Maestro, la politica spesso ambigua svolta dai principi della penisola nei confronti dell'Ordine, vero e proprio principato di area italiana, i conflitti con gli stessi principi e soprattutto con Roma per la questione della collazione delle dignità e delle commende di cui la Religione disponeva rappresentano le coordinate entro le quali si sviluppa la storia "interna" gerosolimitana e fu merito del Bosio l'averle evidenziate, con il supporto di un non indifferente apparato documentario, pur scrivendo egli una storia nella quale i rapporti con il tradizionale nemico occupavano gran parte della scena.

Non si contano, tra la fine del Cinquecento e tutto il secolo successivo, anche sull'onda dell'entusiasmo suscitato dalla gloriosa resistenza di Malta nell'assedio del 1565 e dalla un po' meno gloriosa partecipazione dei cavalieri gerosolimitani alla battaglia di Lepanto, le opere che riferiscono dell'impegno bellico nel Mediterraneo. Stesi generalmente sotto forma di brevi e anonime Relazioni o di Avvisi, semplici opuscoli, quasi instant books, quei titoli sono l'espressione di una fase della vita dell'Ordine in cui l'impegno militare che si richiedeva ai confratelli costituiva ancora un aspetto che determinava più di ogni altro la loro "vocazione". Da quelle relazioni traspare la quotidianità e la consuetudine con una pratica bellica che coinvolgeva, al di fuori delle guerre ufficiali, le marinerie cristiane e quelle musulmane. Più che riferire del grande scontro, anche perché nel XVII secolo non ci furono battaglie di rilievo tra quelle flotte, a parte quelle combattute nell'Egeo e nei Dardanelli dai veneziani nei lunghi anni della guerra di Candia, le Relazioni testimoniano di una endemica e crudele guerra di corsa che aveva come obiettivo soprattutto la cattura di prigionieri da destinare ai serragli e ai mercati di schiavi o di navi onerarie e che, nel contempo, terrorizzava le popolazioni rivierasche impedendone pure le consuete attività legate alla pesca e al commercio. Prive di qualsiasi valore letterario, esse hanno un loro senso all'interno della più generale storia della grande guerra navale che si combattette nel Mediterraneo e che, spesso, sbrigativamente vien fatta terminare con la battaglia di Lepanto e con lo spostamento della macchina militare spagnola sul fronte atlantico. Naturalmente, esse si rivelano di fondamentale importanza per uno storico che volesse ricostruire ruolo e funzione delle nobiltà nell'epoca della "rivoluzione militare".

Accanto agli impegni di natura bellica, proseguiva l'opera di riorganizzazione delle strutture dell'Ordine e di adeguamento del quadro normativo che regolava la vita dei suoi organi di governo alle esigenze nutrite da una società di segno sempre più aristocratico, oltre che dai nuovi "stati moderni".

Già il Bosio, ma lo avevano fatto anche altri prima di lui, aveva pubblicato gli Statuti dell'Ordine raccogliendo pure i privilegi che sin dalla sua fondazione erano stati ad esso conferiti dai pontefici; nel 1634 videro la luce le Ordinazioni, ossia le decisioni assunte nel capitolo generale del 1631 che - come ben si sa - segnò una svolta di fondamentale importanza nella vita della Religione sublimando e formalizzando in maniera rigorosa la sua vocazione aristocratica. Anche in questo caso le edizioni si successero numerose, almeno fino al primo decennio del Settecento, testimoniando della rilevanza di un evento che aveva prodotto norme che non potevano concernere solo quella veneranda istituzione e coloro che ad essa appartenevano.

L'Ordine diventava uno dei pilastri, forse il massimo punto di riferimento, dell'intera società nobiliare; esso proponeva modelli di vita e forme di comportamento che sarebbero state adottate anche da coloro che non avrebbero mai indossato l'abito crociato, procedeva all'esaltazione della sua tradizione storica esaltando le virtù dei suoi Gran Maestri (G. Marulli, Vita de'Gran Maestri della Sacra Religione di San Giovanni Gerosolimitano, Napoli 1636) e dei suoi cavalieri (D.M. Curione, Il glorioso trionfo della Sacrosanta Religione Militare, Napoli? 1619) spingendosi fino ad additare al pubblico esempio e alla pubblica venerazione i propri santi e martiri.

Fu il veronese Bartolomeo Dal Pozzo a sintetizzare nella sua Historia della Sacra Religione Militare di S. Giovanni Gerosolimitano detta di Malta (Verona 1703-1705) le complesse vicende di un secolo che aveva visto l'Ordine attivo protagonista sulla scena politica e militare italiana e mediterranea; ultima delle grandi compilazioni storiche dedicate alla Religione, ché tutte le successive (a parte una) faranno ad essa o a quella del Bosio continuo riferimento, a volte sintetizzandone o plagiandone interi capitoli, quell'opera non si discosta essenzialmente nell'impianto, nella trama e nei contenuti da quella del Bosio della quale si pone - esplicitamente - come la continuazione: guerre, paci, trattati, rapporti con i pontefici e con i sovrani, vicende dei Gran Maestri, questioni relative alla provvista di commende e di dignità trovano in essa ampia e dettagliata relazione. L' Historia di Dal Pozzo pone i sigilli ad un'epoca e ad una vicenda storica che il ridimensionamento dei suoi protagonisti principali (da Roma alla Spagna) sembra consegnare alla memoria di un glorioso passato. In questo contesto si spiega anche l'opera di Sebastiano Pauli (il Codice Diplomatico del Sacro Ordine Gerosolimitano oggi di Malta) che costituisce una delle fonti più importanti per la ricostruzione delle vicende dei cavalieri giovanniti nei primi secoli della loro esistenza.

L'Ordine tendeva, nel XVIII secolo, a diventare sempre più parte integrante di una civiltà aristocratica senza frontiere alla quale forniva ormai, più che uomini d'arme, norme, regole di comportamento, canali e strumenti di formazione, oltre che risorse economiche (es. le commende, le pensioni). Esso mirava a inserirsi nelle complesse strategie familiari, a convalidare le posizioni di preminenza rivestite nella società, ad acquisire, insomma, il ruolo di custode di una tradizione che si costruiva attorno a segni d'onore certi e da tutti riconosciuti.

Diventava importante a questo punto dare testimonianza e conservare la memoria di coloro che erano o erano stati cavalieri, delle famiglie ricevute, anche perché la militanza gerosolimitana era la migliore garanzia o il più valido attestato della qualità dei casati nobiliari e diventava anche la chiave che permettesse loro di accedere ai posti e alle funzioni attorno alle quali più alta si addensava la considerazione sociale.

Andrea Minutolo nelle sue Memorie del Gran Priorato di Messina, edite nel 1699, già si era fatto premura di riportare i nomi di tutte le famiglie siciliane che erano "passate" per l'Ordine, riferendone gli intrecci e le parentele e offrendo un quadro della nobiltà siciliana, da quella urbana a quella feudale, così complesso e completo da rendere ancor oggi la sua opera uno degli strumenti fondamentali per lo studio dell'aristocrazia isolana.

Anche nel XVI e nel XVII secolo non erano mancati Ruoli che enumeravano tutti coloro che avevano indossato l'abito specificandone pure la data e l'età di ricevimento, la località di origine, le dignità conseguite, ma fu il Settecento il secolo dei Ruoli.

Ludovico Araldi scrisse negli anni venti del secolo un libro significativamente intitolato L'Italia nobile nelle città e nei cavalieri (Venezia 1722), vero e proprio repertorio nobiliare, nel quale venivano elencati, divisi per realtà territoriale d'origine, tutti coloro che militavano nell'Ordine gerosolimitano oltre che in quello toscano di Santo Stefano. Pur non essendo quella un'opera ascrivibile alla storiografia ufficiale gerosolimitana, il libro dell'Araldi testimonia del profondo intreccio che era venuto a realizzarsi tra l'Ordine, il nostro ma anche quello stefaniano, come istituzione che sanciva e qualificava la nobiltà di singoli e famiglie la cui appartenenza alla Religione illustrava anche le loro città di origine.

Altri Ruoli vide il secolo, di emanazione ufficiale o non, quello di Roberto Solaro che arriva al 1718, quello di Cesare Nico Losa che giunge fino al 1738, di Valenti Gonzaga che raccoglie le famiglie del Gran Priorato di Lombardia, di Pietro Prezzato che enumera i cavalieri ricevuti nel Gran Priorato di Venezia ed altri ancora, numerosi e anonimi, pubblicati a Malta e che si infittiscono man mano che si perviene ai decenni finali del Settecento. La loro compilazione e la loro diffusione sono il segno di una esigenza di classificazione, di uomini e di beni, che matura in un contesto politico che vedeva la Lingua d'Italia della Religione gerosolimitana ancora porsi come elemento centrale nella definizione dell'essere nobile nella penisola, ma soprattutto la rendeva oggetto delle non disinteressate attenzioni dei sovrani riformatori ed illuminati degli Stati italiani.

Non stupisce che, in questa ottica, un posto di primo piano venisse occupato dalle questioni relative alla gestione delle commende, ai conflitti che attorno alla loro attribuzione o al loro sfruttamento insorgevano, alle dispute con le autorità statali sulle esenzioni e sui privilegi che ritenevano di godere i suoi titolari. Laddove, infatti, nel XVII secolo tutta una produzione minore era incentrata sulle Relazioni delle imprese militari dei cavalieri, ora, pur non essendo completamente assente questo genere letterario (che ormai narrava solo sporadici episodi bellici aventi come oggetto gli scontri della obsoleta marina gerosolimitana con vascelli di corsari algerini o tunisini), questioni di ordine più squisitamente giuridico tengono il campo.

Soprattutto nel regno di Napoli, ove la tradizione giurisdizionalista aveva ricevuto un notevole impulso nei brevi anni del viceregno austriaco ed era stata ripresa su basi nuove negli anni di Carlo di Borbone e della "reggenza", apparvero numerose allegazioni forensi concernenti processi che opponevano cavalieri e commendatori ad autorità locali, a funzionari dello stato, oltre che a quegli esponenti della borghesia agraria meridionale che avevano individuato nell'affitto e nel subaffitto delle commende una sicura via di ascesa sociale ed economica. Tutto ciò era il segno di un difficile rapporto delle istituzioni territoriali della Religione con la società meridionale e con le sue forme di espressione politica quali erano maturate a partire dalla metà del Settecento.

Nell'ambito di quella produzione forense si distingue soprattutto il già citato Giandonato Rogadeo, prestigioso esponente del patriziato di Bitonto e prolifico e documentato autore di numerose allegazioni nelle quali egli rivendicava la funzione di antemurale difensivo del regno svolto dalla Religione, la peculiarità dell'Ordine all'interno della realtà meridionale e quindi la legittimità dei privilegi e delle esenzioni fiscali di cui esso e i suoi cavalieri godevano; non mancano pure allegazioni dalle quali si evincono con chiarezza i rapporti di forza e i conflitti sociali e politici che venivano a determinarsi all'interno delle comunità che ospitavano commende e giurisdizioni gerosolimitane. Da parte sua, Francesco Solombrini, negli anni venti del secolo, aveva dato voce alle istanze e alle proteste dei cavalieri meridionali che, più numerosi di quelli che forniva il resto dell'area italiana, vedevano piemontesi, lombardi, toscani essere a loro preferiti nella collazione di commende e dignità collocate all'interno dei gran priorati di Capua, Barletta e Messina.

Continuava, intanto, senza posa, quello sforzo di catalogzione e di censimento di cavalieri, famiglie e commende che si tradurrà nei Ruoli, molti dei quali rimasti in forma manoscritta; continuava pure l'opera di ricognizione delle rendite delle commende al fine di porre termine alle numerose usurpazioni che ne avevano falcidiato la consistenza, e di difendere la fiscalità magistrale dalle sempre più numerose intromissioni di principi e di privati.

Espressioni di questa volontà di sistemazione sono la raccolta dei Privilegi della Sagra Religione di S. Giovanni Gerosolimitano (Malta 1777) e, soprattutto, il grande Codice del Sacro Militare Ordine Gerosolimitano (Malta 1782), opera del già citato Giandonato Rogadeo che va inserita a pieno titolo nelle consolidazioni giuridiche di area italiana che videro la luce in quel periodo, il quale costituisce l'ultimo grande monumento letterario che l'Ordine - ormai alla fine dell'antico regime - offrì all'Europa cattolica. Del Codice furono subito pubblicati numerosi compendi che, in sintonia con le decisioni prese nel capitolo generale del 1776 (anch'esse ripetutamente pubblicate), posero ancora una volta in risalto la unicità della funzione dei gerosolimitani nella società italiana e, soprattutto, la grande importanza dell'Ordine come istituzione che strutturava e dava forma alle gerarchie nobiliari.

Particolare attenzione venne data in questo periodo alla ricostruzione della storia gerosolimitana, anche se quasi tutte le opere prodotte non giunsero ad eguagliare quelle del Bosio e di Dal Pozzo. Giuseppe Grillo scrisse una storia dell'istituzione soffermandosi in modo particolare sulle vicende del priorato di Messina, mentre agli ultimi due decenni del secolo si ascrivono le compilazioni del già citato Paolo Antonio Paoli e di Pietro D'Onofri, autore di una storia che si accompagna alle biografie dei Gran Maestri.

Colui che veramente innovò nel campo della storiografia sull'Ordine, trasferendo in essa lo spirito del secolo dei lumi fu Paolo Maria Paciaudi, padre teatino fondatore e bibliotecario della Biblioteca Palatina di Parma e collaboratore del Du Tillot. A lui si devono, tra l'altro, le importanti Memorie de' Gran Maestri del Sacro Militar Ordine Gerosolimitano (3 voll., Parma 1780) nelle quali era completamente rigettato il taglio annalistico che aveva caratterizzato la precedente storiografia sull'Ordine; in esse si tratteggia – infatti - una "storia filosofica" e "universale" nella quale in primo piano non sono le battaglie, gli eroi, i santi, ma tutti gli elementi che, a partire dai secoli del medioevo, contribuivano a delineare i tratti di una "civiltà", quella dell'Europa cattolica.

Da questo punto di vista il contributo di Paciaudi non ebbe significativo seguito, anche se il XVIII secolo registrò una produzione più attenta agli aspetti documentari e materiali della storia dell'Ordine come quella - per fare un solo nome - del già citato Pauli.

Non erano mancati nel frattempo opuscoli e opere che continuavano a rimarcare gli aspetti più propriamente religiosi che informavano i tratti di quella sacra istituzione e dei suoi cavalieri (basti pensare alla vita del cavalier Arrigo Rondinelli scritta da Francesco Maria Boccadiferro), come non era venuta meno tutta una produzione che riportava la biografia di alcuni cavalieri e nelle quali si sottolineavano le loro virtù religiose non disgiunte, però da quelle, ben più mondane, che si richiedevano a coloro che erano pur sempre gli esponenti delle fasce più alte della società. Si enumerano qui la vita del marchese Sagramosto, stesa da Aurelio de Georgi Bertolai, la biografia del priore di Barletta Gabriele Tadino scritta da Giambattista Gallizioli, la vita di Benvenuto da San Giorgio di Giuseppe Vernazza.

Di diverso tenore è una produzione maturata nell'ambito di accademie e di circoli letterari attorno ad alcuni grandi personaggi dell'Ordine. L'esaltazione al gran magistero del senese Marcantonio Zondadari, ad esempio, fu salutata da componimenti poetici che sottolineavano nel contempo le qualità dell'uomo e quelle della "nazione senese" della quale egli era figlio. La sua morte, avvenuta pochi anni dopo l'assunzione della carica, fu ricordata, pure, da numerosi elogi fra i quali spicca quello steso da Sallustio Bandini. Sembra superfluo ricordare che anche altri personaggi illustri dell'Ordine, come il marchese Antonio Botta-Adorno o il conte Vimercati, furono gratificati da liriche e sonetti che ne esaltavano le doti e le qualità o che ne ricordavano l'operosità.

Per coloro che non erano santi o non si trovavano al vertice delle gerarchie melitensi erano a disposizione manuali e trattati (molti dei quali, es. quelli di Giovanni Caravita, rimasti manoscritti) che sottolineavano i doveri e le norme che dovevano informare i cavalieri dentro e fuori dal "convento".

Ma, nonostante tutto, la società colta settecentesca vedeva ormai nell'Ordine il ricettacolo di una nobiltà viziosa e gaudente e pullulante di cavalieri refrattari a qualsiasi impegno di natura religiosa e militare. La letteratura di viaggio di fine secolo non poté non rimarcare il profondo declino degli ideali che un tempo avevano fatto la forza della Religione e dei suoi cavalieri sottolineando, altresì, l'anacronismo rappresentato, nell'Europa della ragione e del dispotismo illuminato, di una specie di repubblica aristocratico-monastica sovranazionale che appariva sempre meno compatibile con le monarchie assolute.

Che molto fosse mutato all'interno di quell' istituzione, che il patrimonio di prestigio conquistato nella lotta contro gli infedeli si fosse ormai esaurito, che sui cavalieri e sulle loro commende lo scudo protettivo del privilegio fosse ormai incrinato è testimoniato dal moltiplicarsi di scritti di natura controversistica in cui gli attori convenuti risultano essere cavalieri gerosolimitani.

Il crollo dell'antico regime non poteva non trascinare con sé l'Ordine di Malta, istituzione tipica di un'epoca che aveva visto la società organizzarsi sulla base di moduli che facevano riferimento alle qualità ascrittive di individui e famiglie. La fine dei privilegi di natura feudale di cui godeva, seguita alla rivoluzione francese, rappresentò un duro colpo per la Sacra Religione; l'occupazione di Malta da parte di Napoleone costrinse i cavalieri ad una nuova e più dolorosa diaspora e alla umiliante ricerca di nuovi protettori. La Restaurazione, che non applicò per i gerosolimitani il principio della "legittimità", non riportò l'Ordine a Malta e pose fine alle sue velleità di mantenersi come soggetto autonomo della politica internazionale, oltre che come regolatore delle relazioni sociali delle e tra le fasce nobiliari.

Un profondo disorientamento colpì così quell' istituzione anche se l'attenzione nei suoi confronti di letterati e scrittori di storie non venne meno concretizzandosi nell'edizione di molteplici dizionari, manuali, opere di sintesi che presentano, specie queste ultime, un alto tasso di ripetitività e banalizzavano, ancora una volta, i contenuti delle grandi storie di Bosio e di Del Pozzo.

Pure, alcuni elementi di novità si rinvengono in una storiografia numerosa, frastagliata, poco omogenea e di incerto valore dedicata all'Ordine. Il primo riguarda il peso che comincia ad assumere l'attività di autori maltesi, non legati alla Sacra Religione, che in opere di "storia generale" trattano soprattutto dell'ultimo periodo dei cavalieri nell'arcipelago e del suo passaggio sotto dominazione straniera. E' una produzione, questa, che risente in larga misura delle vicende del Risorgimento italiano e che tende a sottolineare le vicende che posero fine all'indipendenza di Malta. Così si studiarono le emergenze architettoniche legate al periodo dei cavalieri nell'arcipelago, si censirono e sfruttarono, ma in questo caso gli autori non sonosolo maltesi, le fonti presenti in notevole quantità negli archivi che già erano stati dell'Ordine.

L'altro elemento di novità da rimarcare è che, accanto al persistere di una sempre più stanca tradizione che disegnava medaglioni di cavalieri particolarmente distintisi nel campo delle virtù militari, civili o religiose e che attraversò tutto il secolo, fecero la loro comparsa studi che intrecciavano la storia generale dell'Ordine o quella di alcuni suoi membri a quella di singole commende o di particolari luoghi dando luogo, in questo modo, a una visione "dal basso" della storia della Lingua italiana della Sacra Religione. Generalmente della dimensione di un opuscolo, infarciti quasi sempre di erudizione e tutti tesi alla scoperta di pretese glorie locali, quegli studi avrebbero potuto costituire una miniera di dati e di informazioni per autori che, successivamente e con ben altro spirito avrebbero rivolto la propria attenzione alla "storia locale". Ma, di ciò ci sarà modo di parlare in seguito.

Intanto, continuava a fiorire l'altro grande filone della storiografia gerosolimitana, quello che faceva riferimento alle qualità nobiliari dei cavalieri e che trovava ancora una volta la sua più tipica espressione nei Ruoli. Agli ultimi decenni del secolo XIX risale l'attività di Francesco Bonazzi al quale si devono numerosi Ruoli sui cavalieri italiani dell'Ordine, stesi tutti con una valenza che andava ben al di là dell'intento di ricostruire i ranghi della Religione, fossero essi riferiti ai gerosolimitani in vita o a quelli che avevano militato nei secoli precedenti. Ruoli di altri autori, come quelli di Felice Patroni Griffi, tutti attenti al presente, si affiancano a quelli del Bonazzi, testimonianza della volontà di coinvolgere l'Ordine nel campo di un'attività di definizione e di regolamentazione, istituzionalmente affidata alla Consulta Araldica del nuovo regno d'Italia chiamata a valutare in maniera uniforme i titoli delle famiglie nobili degli stati preunitari della penisola.

Ormai inserito in un contesto che lasciava poco spazio a quelle che erano state le aristocrazie feudali o i patriziati urbani italiani, l'Ordine accentuò i suoi legami con il Vaticano, anche se non mancarono momenti di frizione legati a questioni di etichetta e di collocazione delle autorità della Religione all'interno dei rituali che si celebravano attorno al soglio pontificio e, in sintonia con le tendenze espansionistiche e colonialiste del tempo, rivendicò del suo passato un capacità di intervento politico e una serie di attitudini militari che si vedevano trasferite soprattutto nella marina del regno d'Italia (es., E. Rossi, Storia della marina dell'Ordine di San Giovanni di Gerusalemme di Rodi e di Malta, Roma 1926).

Il mito della "quarta sponda", tenacemente coltivato negli anni del fascismo, portò a rivendicare l'"italianità" di Malta e a valorizzare la breve fase della permanenza dei cavalieri a Tripoli, legando in questo modo aspirazioni coloniali a vicende che si erano svolte sotto tutt'altro segno. A E. Rossi si deve Il dominio degli spagnoli e dei Cavalieri di Malta a Tripoli (1510-1551) del 1937, a M. Monterisi, L'Ordine a Malta, Tripoli e in Italia del 1940, ad altri, numerosi, si deve una serie di saggi sull'argomento apparsi in riviste sulle quali converrà tornare tra breve.

Nel frattempo l'Ordine, diventato "Sovrano", rivendicava l'esercizio di una sua autonoma attività tutta incentrata sull'assistenza agli infermi tentando, in questo modo, di collegarsi alle ragioni originarie che ne avevano giustificato la fondazione e, in seguito, la propria esistenza. Ancora E. Rossi dedicò a questo tema un suo lavoro (L'attività ospedaliera e le opere di beneficenza nel passato e nel presente, Roma 1932); M. Battistini aveva pubblicato nel 1918 L'Ospedale di San Lazzaro in Volterra poi commenda dei Cavalieri di Malta; G. Iacopi aveva scritto Lo spedale dei Cavalieri e il museo archeologico di Rodi (Roma 1932). Anche in tempi più recenti questo filone di indagine ha trovato numerosi cultori, da I. Pappalardo autore di una Storia sanitaria dell'Ordine Gerosolimitano di Malta dalle origini al presente (Roma 1958) a I. Nazzario al quale si deve Dieci secoli di storia Ospedaliera a Imola (Imola 1966), a E. Nasalli Rocca, prolifico autore di studi nobiliari apparsi su alcune riviste alle quali conviene ora dedicare la nostra attenzione.

Una quantità impressionante di lavori sull'Ordine gerosolimitano, spazianti sui più diversi aspetti della sua storia, ma sempre con una particolare attenzione ai temi araldico-nobiliari, militari, sanitari e ai nessi tra la più generale storia dell'Ordine e quella locale ha visto la luce a partire dagli anni Trenta principalmente sulla "Rivista Araldica", sull'"Archivio della Storia di Malta", sulla "Rivista del Sovrano Militare Ordine di Malta", sulla "Revue de l'Ordre Souverain Militaire de Malte", sulle "Annales de l'Ordre Souverain Militaire de Malte". Queste riviste (alcune pubblicazioni ufficiali dell'Ordine, altre -come la "Rivista Araldica" - emanazione della Consulta Araldica) hanno tutte in comune un elemento di fondo, ovvero articoli numerosissimi sull'Ordine, ma che quasi sempre si esauriscono nell'ambito di pochissime pagine. In esse trova ospitalità una produzione pletorica che, pur annoverando nomi di specialisti indiscussi nel settore come G. Maresca, E. Nasalli Rocca, L. Rangoni Machiavelli, è priva di alcun serio tentativo di approfondimento o di collegamento con tematiche di natura più generale. I caratteri di una produzione autoreferenziale, tutta separata e appartata rispetto alle più generali tendenze storiografiche, emergono con forza nella storiografia di ambito gerosolimitano e si accentuano man mano che ci si inoltra negli anni del secondo dopoguerra.

Eppure, non erano mancati nella prima metà del secolo lavori che ad una certa dignità di impianto avevano unito una salda base documentaria ricavata non solo dalla lettura delle opere dei classici di quella storiografia, ma anche dalla frequentazione da parte dei loro autori degli archivi in cui erano custodite le memorie dell'Ordine.

Se Giacomo Bascapè, autore pure di una raccolta di Documenti dell'Ordine di Malta nell'Archivio dell'Ospedale Maggiore di Milano (Milano 1934), aveva scritto agli inizi del secolo un trattato su L'Ordine Sovrano di Malta e gli Ordini Equestri della Chiesa, destinato a conoscere successive ristampe, a Carlo Augusto Bertini-Frassoni si deve Il Sovrano Militare Ordine di San Giovanni di Gerusalemme detto di Malta (Roma 1929), a M. Gattini I priorati, i baliaggi e le commende del Sovrano Militare Ordine di San Giovanni di Gerusalemme nelle province meridionali d'Italia prima della caduta di Malta (Napoli 1928). A queste opere ne possiamo aggiungere altre, di analogo interesse, in cui l'impianto giuridico prevale su quello storico, come quella di Alessandro Visconti Della nobiltà e delle sue prove secondo il diritto comune con particolare riguardo alle prove per l'ammissione all'Ordine di Malta (in "Rivista storica del diritto italiano", 1942), che si distanzia nettamente da lavori aventi ad oggetto lo stesso argomento, ma stesi con finalità esclusivamente erudite o encomiastiche.

Notevole era stata pure, in quel periodo, l'attenzione nutrita per gli archivi dell'Ordine e per le fonti che in essi erano conservate che aveva portato all'edizione di repertori sulle fonti gerosolimitane, da quelle custodite a Malta a quelle sparse nei più svariati archivi della penisola o a bibliografie.

E' giunto il momento di tirare alcune provvisorie conclusioni. Si manteneva e in alcuni casi si accentuava, fino a pochi anni fa, quella divaricazione cui si accennava in precedenza tra la storiografia gerosolimitana e quella "accademica". Continuavano ancora ad apparire studi di storia sulle commende, sulle prove di nobiltà, sulle vicende più generali dell'Ordine nell'Italia dell'età moderna, ma tutti impostati secondo una linea collaudata che privilegiava ancora l'aspetto erudito e quello araldico o si rivolgeva ad illuminare vicende locali che si erano svolte sotto l'egida della Religione. Niente della storia "economico-sociale", dell'apporto delle scienze sociali alle discipline storiche, della nuova storia "politica" e "istituzionale" era passato nella storiografia gerosolimitana; tutto si svolgeva secondo gli schemi codificati, ormai da tempo, dalla "Rivista araldica".

Bisogna, però, doverosamente aggiungere che nemmeno la storiografia accademica aveva ritenuto di dover dedicare all'Ordine, alle sue articolazioni e alle fonti che esso ha prodotto, sia quelle centralizzate che quelle sparse negli archivi italiani, l'attenzione che esse avrebbero meritato.

E non parlo qui soltanto della storia militare o di quella politico-istituzionale che, come ben si sa, hanno goduto da noi fino a ieri di scarsa fortuna, ma anche della storia economica, sociale, della stessa "storia agraria". L'Ordine ha prodotto fonti, cabrei, materiale di natura controversistica, atti ad illuminare gli aspetti del paesaggio agrario, l'organizzazione delle colture, gli assetti produttivi nelle zone in cui erano dislocate le sue commende. E, a quanto mi risulta, a parte un pionieristico saggio di M.T. Tanzarella Pace sui beni del baliaggio di S. Stefano, non ci sono lavori che su questo versante possano collocarsi accanto a quelli che hanno assunto ad oggetto della propria attenzione, con ben altra frequenza, le aziende agrarie in età moderna.

Pure la nuova storia delle e sulle "comunità" ha ignorato le vicende e la documentazione gerosolimitana precludendosi la possibilità di ricostruire le strutture sociali e la dinamica del potere in quelle realtà, e non erano poche, che nell'Italia della prima età moderna ricadevano sotto la giurisdizione dei cavalieri di Malta.

Per fortuna, le lacune segnalate tendono ora ed essere colmate: l'Ordine è diventato un oggetto di indagine della storiografia sull'età moderna, i numerosi studi dedicati alle nobiltà di area italiana tengono conto della sua presenza e dell'attrazione che esercitava sulle famiglie aristocratiche della penisola, esso viene indicato come uno degli elementi costitutivi della "civiltà nobiliare" europea. Alla storia della religione gerosolimitana sono ora dedicati convegni (es. quello del 14-16 maggio 1998 "Fasano nella storia dei cavalieri di Malta"), mostre (quella di Torino del 7 novembre-10 dicembre 2000 "Gentiluomini Cristiani e Religiosi Cavalieri. Nove secoli dell'Ordine di Malta in Piemonte"), riviste ("Studi melitensi" pubblicata dal Centro studi melitensi di Taranto che edita anche monografie sull'Ordine).

Molti cantieri, tuttavia, sono ancora aperti: restano da indagare meglio le strutture, l'organizzazione e la dislocazione territoriale delle commende, il rapporto dei cavalieri con le istituzioni del potere statale e di quello locale, gli intrecci con i gruppi sociali, le strategie familiari che conducevano i cadetti nelle file della Religione, i rituali che scandivano l'esistenza di quei militi, l'immagine che di sé essi offrivano, gli itinerari formativi che dovevano percorrere, le forme della spiritualità della quale molti di essi erano intrisi, e così via.

Si tratta, in sostanza, di articolare meglio, all'interno della plurisecolare storia degli "antichi Stati italiani", la vicenda, il ruolo e la funzione di quei cavalieri e delle loro istituzioni che costituivano un preciso punto di riferimento per principi, gruppi dirigenti, giuristi e trattatisti che si interrogavano sulla natura del potere, sulle fonti della sua legittimazione, sulla sua tipologia e articolazione e sulle "qualità" di coloro che erano chiamati ad esercitarlo. 

 

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